Isole contese: Egitto si garantisce la fratellanza strategica di Tel-Aviv e Riad

Il Consiglio di Stato Egiziano ha approvato finalmente il verdetto della cessione delle isole contese di Tiran e Sanafir all’Arabia Saudita. Una decisione che cambia, definitivamente, i confini marittimi in base all’accordo siglato ad aprile tra Cairo e Riad.

I due atolli apparentemente, sono di poco conto e disabitati, ma in realtà sono di altissimo valore strategico e geopolitico.  Per le navi che partono dai porti del golfo di Aqaba verso il Mar Rosso, le isole rappresentano il passaggio. Perciò, chi li possegga, avrà il controllo e la sovraglianza del trafficco marittimo della regione.  E non a caso, anche Israele li ha presi di mira per un certo periodo. Nel 1956 sono state invase e occupate da Israele e poi restituite al Cairo, nel 1967 furono nuovamente contese; hanno provocano la guerra dei 6 giorni tra Egitto-Israele per le limitazioni che Cairo aveva stabilito per il passaggio delle nave israeliane dallo stretto e successivamente, le isole tornarono egiziane solo in seguito agli Accordi di Camp David del 1979, attraverso i quali Gerusalemme ottenne la libera navigazione dello stretto di Tiran e lo stazionamento di un contingente militare.

Facendo questo flashback nella storia, va scontato che la cessione delle isole ai sauditi, in cambio dei loro investimenti finanziari, dia a Israele la carta vincente del gioco. I rapporti Israele-Arabia Saudita finora sono stati condotti per canali segreti, ma, comunque, Israele è teso a normalizzare i rapporti con la monarchia araba. Gerusalemme considera, infatti, fondamentale per la stabilità della regione sia il rafforzamento del presidente egiziano sia il mantenimento di un dialogo con la casa regnante dei Saud. Il principale e immediato frutto di questa intesa vorrebbe essere l’implicito e del tutto ancora non ufficiale riconoscimento del governo di Tel Aviv da parte di Riad, perché in prospettiva trattare direttamente con l’Arabia Saudita potrà dare una chance concreta a una risoluzione dell’annosa questione palestinese.

Il presidente egiziano, in ogni caso, non si fermerà di fronte ai cavilli legali perché intende cementare l’alleanza con l’Arabia Saudita a tutti i costi, per ottenerne vantaggi sia economici – la pioggia di soldi arrivata ad aprile è quanto mai salvifica per un paese minato dal terrorismo e dalla fuga dei turisti – sia politici, in funzione anti Fratellanza Musulmana. La solidarietà di Riad, che potrebbe anche fare pressioni per rompere l’asse tra la Turchia e la Fratellanza, garantirebbe così un alleggerimento della situazione interna, quanto mai turbolenta da quando nel luglio del 2013 Al Sisi ha defenestrato il presidente Morsi, sponsor della Fratellanza, assumendo la guida del Paese con un golpe militare. Al Sisi punta ancora più in alto e, per dimostrare all’alleato saudita la bontà delle proprie intenzioni, ha deciso anche la costruzione di un ponte che collegherà la località turistica di Sharm el Sheikh, nel Sinai egiziano, alla penisola saudita. Più di così, Il Cairo non può davvero fare.

 

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